in

Claudius Schulze: paesaggio e cultura si influenzano a vicenda

La mostra personale di Claudius Schulze “State of Nature” è aperta al pubblico dal 17 aprile al 16 giugno 2018 presso la Galleria VisionQuesT 4rosso contemporary photography, piazza Invrea 4r, Genova.

Claudius Schulze, il termine fotografo è limitato per descrivere il tuo mestiere?

Ci ho pensato diverse volte. Sicuramente non ho alcuna voglia di definirmi un artista, troppe persone si definiscono artisti. La cosa di cui sono sicuro è che, nella mia vita, mi occupo di due cose: faccio fotografia e faccio crescere la mia casa galleggiante, dove organizzo eventi culturali e discussioni sull’arte. Naturalmente, la fotografia è l’ambito a cui dedico la maggior parte del tempo, per questo posso definirmi un fotografo. Quello che cambia, rispetto al fotografo tradizionale, sono le motivazioni. Per me la fotografia è uno strumento grazie al quale posso raccontare storie in modo molto intenso. Con la fotografia, riesco a tradurre concetti complessi, come il cambiamento climatico o i big data, in qualcosa di comprensibile ad un pubblico più vasto, è una democratizzazione di questi concetti contemporanei. Per me la fotografia è uno strumento per fare ricerca, per capire il mondo e per capire me stesso.

Per me la fotografia è uno strumento grazie al quale posso raccontare storie in modo molto intenso.

È complicato tradurre in un’immagine, e rendere accessibile a tutti, un concetto come il cambiamento climatico?

Il cambiamento climatico sta avvenendo ma, quando esci da casa, non te ne accorgi. Per questo è molto difficile rappresentare, descrivere una cosa del genere. Ogni giorno possiamo fare tutto ciò che facevamo dieci o venti anni fa: andare al mare, andare sulla neve, possiamo trascorrere intere giornate immersi nella natura e non ci accorgiamo di nulla. Noi vediamo la natura come qualcosa di bellissimo, qualcosa di pittoresco, ma non ci accorgiamo che al suo interno stanno avvenendo forti cambiamenti. Almeno, questo è ciò che noi europei osserviamo. Non conosco nel dettaglio il modo in cui la natura viene vissuta dagli asiatici ma sono certo che, per esempio in America, viene vissuta in un modo diverso rispetto agli europei.

Le tue fotografie non dovrebbero essere qualcosa di universale?

No, non credo che l’arte sia universale. Ognuno ha una diversa interpretazione, ognuno guarda all’arte in base alla propria conoscenza ed alla propria cultura. Io sono europeo e penso che il modo in cui io guardo la natura abbia forti radici nella mia cultura.

Non credo che l’arte sia universale. Ognuno ha una diversa interpretazione, ognuno guarda all’arte in base alla propria conoscenza ed alla propria cultura.

Quanto tempo hai impiegato per realizzare il progetto State of Nature?

È difficile dare una data di inizio. Posso dirti quando ho scattato la prima foto del progetto, ma in realtà l’idea è nata molto prima. Mi trovavo vicino al Brennero, sul confine con l’Italia, e ho visto una montagna completamente ricoperta da protezioni contro le frane. In quel momento, ho avuto l’idea di fotografare i sistemi che costruisce l’uomo per proteggersi dalla natura. Un’altra ispirazione è arrivata da mia sorella, lei è una geografa. Stava analizzando alcune carte sui disastri naturali in Norvegia e io le ponevo una serie di domande molto importanti per me, ma assolutamente non interessanti per il suo punto di vista. Lei non era interessata tanto alle cause del cambiamento climatico, quanto alla direzione verso questo cambiamento stava andando. Mi sono accorto che ogni professione ha un proprio punto di vista e che tutto questo poteva essere tradotto nel linguaggio visuale.

Avevi già lavorato sul paesaggio e sulla natura prima di questo progetto?

Sì, sono sempre stato molto interessato al paesaggio. Ma prima di iniziare State of Nature, ho dedicato almeno un anno e mezzo per capire come avrei potuto fotografare il paesaggio. Quando guardi queste fotografie, puoi notare molti dettagli, alcuni sono emersi dopo aver scattato la foto. Sono elementi molto piccoli che possono cambiare, o meglio, aggiungere significati alla fotografia.

Per esempio, mi hai detto che, se guardi le persone in queste fotografie, ti accorgi che stanno ammirando la natura.

Sì, guardano il panorama, mangiano un gelato, sono fermi sulle loro automobili. Nessuna di loro è impegnata in un lavoro, in una attività pratica. Sembrano essere ferme lì solo per godere della natura e dalla loro vita.

Possono farlo perché l’uomo ha costruito quelle stesse barriere di protezione che hai fotografato?

Certo, possono fare tutte queste cose perché non si sentono in pericolo. Ci sono protezioni, argini dei fiumi, canali d’acqua che permettono alle persone di vivere in tranquillità nella natura. In una foto c’è un lago artificiale, è delimitato dai grandi archi di cemento di una diga, ed è questo lago a dar vita alla bellezza della natura. Le persone sono ferme ad osservare il lago artificiale, senza l’intervento dell’uomo questo non sarebbe successo.

Il tuo approccio non è nostalgico, non ci stai dicendo “guardate queste foto, prima era meglio”.

No, assolutamente. Non voglio denunciare l’intervento umano sulla natura. Anche perché questo è un grosso malinteso.

Il fascino della natura incontaminata è un malinteso?

In tutta Europa non esiste un solo centimetro di natura incontaminata. È un grande mito che dovrebbe essere sfatato. Forse sono realmente naturali alcuni boschi della Finlandia o della Polonia. Ma tutto il resto è stato costruito e modificato dall’uomo, in ogni epoca. In Bosnia ho visto montagne completamente deserte e affascinanti, sono deserte perché i romani hanno tagliato tutti gli alberi per costruire barche durante le guerre contro i greci. L’uomo è sempre intervenuto sulla natura, in qualche modo, noi abbiamo sempre costruito il paesaggio.

L’uomo è sempre intervenuto sulla natura, in qualche modo, noi abbiamo sempre costruito il paesaggio.

Non vorrei fraintendessi la mia domanda, non riguarda la qualità del risultato finale. Ma dove è la differenza tra le tue fotografie e le foto che fanno i turisti che guardano questa natura?

Capisco bene cosa vuoi dire. Posso dire che questi turisti stanno portando a casa dei bellissimi ricordi, mentre io sto cercando di capire che cosa succede di fronte a questa natura.

Credi che che la natura condizioni la nostra cultura, e viceversa?

Sì, la natura costruisce una certa cultura, ed una certa cultura determina il paesaggio. Sono elementi che si influenzano l’uno con l’altro. Se costruisci un porto, stai chiudendo una porzione di mare e stai costruendo un villaggio dove le persone vivranno di pesca e penseranno come pensa un pescatore. Lo stesso, se metti in sicurezza una porzione di montagna e permetti agli uomini di poterci vivere, questi saranno sempre influenzati da quel tipo di natura. Ma ciò che è più importante, è che la cultura di un paese di montagna è la stessa in Spagna, in Polonia, in Scozia.

La cultura non è delimitata da confini, come pensiamo di solito, ma è trasversale al tipo di paesaggio in cui viviamo?

Esatto. Un pescatore italiano probabilmente avrà una cultura, una visione della vita, simile ad un pescatore danese. Oggi c’è chi propone viaggi organizzati non per giapponesi, francesi o russi, ma per agricoltori. Gli agricoltori del mondo hanno interessi comuni, indipendentemente dal luogo da cui provengono.

È vero che vivi su una casa galleggiante che è diventata un centro di discussione sull’arte.

Sì, la barca su cui ho costruito la mia casa, e che in questo momento si trova ad Amsterdam, è collegata al mio percorso artistico. In realtà, non avevo mai avuto una relazione particolarmente stretta con l’acqua o con le barche. Nel tempo, è diventato il mio modo per sperimentare, per fare ricerca, per capire la natura in prima persona. È una forma di downshifting, uno stile di vita che mi ha sempre interessato, anche all’università. Ho sempre cercato di capire il progresso, ovvero usare la natura a proprio vantaggio, ed il regresso, ridurre i consumi e tornare ai bei tempi andati. Quando sono andato a vivere ad Amburgo, ho scoperto che in quella città era più semplice ed economico vivere su una casa galleggiante che in un appartamento. E da lì è iniziato il progetto dell’abitazione sull’acqua.

Il downshifting non è una scusa per uscire dal sistema competitivo?

Per molti lo è stato, non ci sono dubbi, è diventato un modo di vivere nostalgico. Per me, invece, è stato il modo per semplificare le cose e per concentrarmi solo su ciò che è importante. Mi ha permesso di concentrarmi sui progetti che mi interessavano realmente, senza distrazioni. Fare downshifting non significa prendere le distanze dal lavoro, significa lavorare meglio.

L’arte e la scienza seguono esattamente le stesse regole.

La tua casa galleggiante è un luogo dove discuti di varie forme d’arte. Pensi che un giorno potrai esprimerti in altro modo, oltre che con la fotografia?

Non penso che dipingerò mai, capisco molto meglio la fotografia. Una cosa è la forma di espressione, un’altra è la forma di ricerca artistica. La casa galleggiante collega le due cose: è il mio studio ma anche un luogo in cui vengono connesse diverse forme di pensiero. È un luogo molto inclusivo. Per esempio, l’arte e la scienza per me sono forme di ispirazioni molto simili. Chi fa ricerca scientifica non è molto diverso da chi fa ricerca artistica. Devi partire da una intuizione, pensare ad una metodologia, devi saper progettare, poi devi fare la tua ricerca, cercare una interpretazione dei risultati, fare le valutazioni ed arrivare ad un risultato per nulla scontato, o per nulla di successo. Solo una piccola parte delle intuizioni arriva ad un risultato finale. L’arte e la scienza seguono esattamente le stesse regole.


Fonte: https://www.maledettifotografi.it/fotografi/feed/


Tagcloud:

Conchita Wurst, l’annuncio choc su Instagram: “Ricattata dal mio ex, sono sieropositiva”

Albert Watson: usare la macchina fotografica è una combinazione di sensazioni